Una bella ragazza lo puntò insistentemente, con uno sguardo che avrebbe sciolto anche l'uomo più ritroso e più posato di questo mondo. Marcello era giovane, aveva ventotto anni e tutto il vigore della sua giovinezza; non era bello nel senso più classico del termine, ma il suo passato difficile lo aveva reso molto più forte, dentro, di quanto fossero in genere i ragazzi della sua età. La palestra, alla quale si era dedicato ormai da qualche anno con tutta la volontà e la dedizione che metteva in qualsiasi attività che decideva di intraprendere, non faceva altro che far risaltare esternamente la sua solida stazza interiore. Insomma in quell'anno, il 2009, si era accorto di piacere alle donne. Era riuscito a raggiungere una fisicità perfetta. Aveva poi anche scoperto, sull'ambiente di lavoro diventato negli ultimi tempi particolarmente competitivo e spietato, lati del suo carattere che fino a poco tempo prima non si sarebbe sognato di poter dire di possedere: nei mesi passati era riuscito a farsi valere e rispettare da quegli squali dei suoi colleghi arrivisti e senza scrupoli, lui che metteva al di sopra di tutto quel difficile valore che chiamava lealtà; il capo aveva assistito casualmente a uno dei tanti confronti tra i suoi sottoposti e si era congratulato con lui per il suo "caratterino tirato fuori al momento giusto"; il giorno successivo il ragazzo era stato promosso a vicedirettore dell'azienda.
Marcello riuscì a riscuotersi presto, dopo un attimo di sbandamento, da quello sguardo così magnetico e sensuale. Ricambiò con un sorriso, ed ebbe allora appena il tempo di muovere il primo passo verso il bancone delle bibite, tra la ressa festosa stipata in quel piccolo chalet di montagna, che le luci colorate che avevano martellato fino a quel momento la stanza seguendo il ritmo sostenuto della musica si spensero improvvisamente, come pure la musica, lasciando solo oscurità e silenzio. Dopo qualche secondo si accorse di una luce fioca proveniente dalla stanza attigua. Quel barlume si avvicinava, finche riuscì a definire piuttosto precisamente cosa fosse quella sostanza spumosa e illuminata che si trovava ormai a pochi centimetri dalla sua faccia, come pure riconobbe il viso che si protendeva verso di lui. Avvertì un brivido percorrergli tutta la schiena e poi fargli tremare le gambe, quando sentì delle labbra morbide e umide che gli baciavano la guancia destra e gli sussurravano "Auguri amore mio". Qualcuno accese le luci principali e urlò distintamente "Auguri Marcello!" e poi qualcun altro intonò un "Tanti-auguri-a-te", seguito da un coro di voci che cantavano a squarciagola e non badavano molto all'intonazione. Poi ancora un "Buon Anno!", e un rumore di tappi che schizzavano lontani dalle bottiglie, schiuma e spumante a fiumi; qualcuno lanciò anche coriandoli, suonò qulache trombetta colorata. "Questa è per te, per festeggiare i tuoi 29 anni e tutti i tuoi successi", gli disse piano Giovanna, fissandolo con due occhi dolci e decisi al contempo. "Sei tu il mio successo", le rispose Marcello, con la voce un po' strozzata in gola. Spense d'un fiato le candeline e lei gli tagliò una fetta di quella torta al cioccolato, mandorle e pinoli che aveva ordinato appositamente per lui il giorno precedente. Tutta quella panna bianca che stava in bilico e quasi aggrappata alla superficie del dolce era stata agginta poco prima da Giovanna: si conoscevano solo da qualche mese ma lei sapeva i gusti di Marcello, in particolare in tema di torte: con una montagna di panna montata sopra. Tutto intorno le persone continuavano ad abbracciarsi, baciarsi sulle guance e augurarsi buon anno.
***
Poco dopo fecero di nuovo buio e ripartirono la musica e le luci colorate che fino allo scoccare della mezzanotte avevano animato la serata. Marcello continuò per una buona mezzora a ringraziare Giovanna, la ringraziava e la accarezzava, alternativamente, con due occhi che parlavano di una gratitudine infinita e di un velo di paura.
"Se mi ringrazi ancora una volta mi arrabbio", gli disse lei con un viso di falso rimprovero e dandogli un buffetto tenero sulla guancia; subito dopo gli prese la mano e la face scivolare dal collo giù fino alla pancia, dove la trattenne immobile per diversi secondi. Lo fissava con uno sguardo diverso, profondo, speranzoso, e le sfuggì una lacrima. Lui le sorrise.
Fu con la scusa di voler prendere ancora dello spumante che Marcello riuscì ad allontanarsi dalla calca che si era stretta intorno a lui e a Giovanna, avvicinandosi al bancone delle bevande posizionato tra le due finestre della lunga stanza che collegava il salotto, fulcro della festa, alla cucina, dalla quale poco prima avevano portato quella magnifica torta. La casa non era di certo grande, coi suoi tre locali e il suo piccolo bagno, ma sembrava contenere un'intera città in quelle ore di festa. Non c'era nessuno però che si serviva da bere in quel momento, forse erano già tutti pieni, ebbri di spumante e spensieratezza, per quella notte.
Marcello guardò fuori, nevicaca, un lampione che emetteva una strana luce gialla colorava in modo insolito e soffuso lo spiazzo innevato di fronte allo chalet e la distesa di alberi che si scorgeva più in lontananza. "Sembrano fiocchi di crema pasticcera che cadono dal cielo" pensò divertito il ragazzo fissando la neve che cadeva fitta, come se anche lassu qualcuno stesse festeggiando qualcosa con delle enormi fette di dolci con sopra tanta crema. "Pasticcini giganti alla frutta" pensò sorridendo, e mentre lasciava fluire questi pensieri così infantili sorrise e si mise con un gesto automatico un pezzettone di torta in bocca. Sentì e gustò a fondo il sapore dolce e immediato della panna, poi quello morbido della crema alla nocciola e infine il sapore più lento e sinuoso del cioccolato a scaglie grosse. "Sono proprio fortunato, mi è capitata una fetta con tanti pinoli dentro". Fece due schiocchi rumorosi con la bocca, come se volesse cercare di trattenere ancora quel sapore sopraffino, legarlo al palato, alla lingua. Invece sentiva che fuggiva via, giù per la faringe e l'esofago.
Improvvisamente si voltò e vide che nessuno lo osservava; si mosse di scatto, afferrò di colpo un giaccone pesante appoggiato sulla sedia accanto alle bevande e si diresse spedito verso la porta d'ingresso, di legno scuro, in fondo al salone pieno di luci e musica, pregando che nessuno lo vedesse nè gli chiedesse nulla. Uscì nella neve, fece qulache passo lentamente e poi gettò via le scarpe e i calzini e sentì il soffice sotto i piedi, sapeva che di lì a poco avrebbe sentito anche il freddo. Si mise a correre, puntando verso il bosco che era piuttosto lontano e sarebbe stato troppo lungo da raggingere a piedi, quasi impossibile. Ma continuò a correre, solo quello gli importava, continuare a sentire quel soffice sotto i piedi e quei fiocchi di crema pasticcera che gli si scioglievano addosso. Ad un tratto avvertì caldo e bagnato sopra le guance, e salato in bocca... Piangeva, senza sapere bene il motivo, un pianto a cui si abbandonò senza domandarsi nulla. Avrebbe potuto chiedersi qualcosa, ma non ci riusciva, non voleva, sentiva solo un enorme miscuglio di emozioni indistinte e forti che premevano da dentro e volevano uscire e che sembravano non poter far altro che trasformarsi in lacrime.
Così correva, piangeva, e sentiva. "Giovanna incinta", ripetè tra se', con un sorriso, fermandosi di colpo e asciugandosi con la manica del giaccone una lacrima che gli bagnava il mento.
In fondo non c'era molto da domandarsi. Semplicemente non era abituato alla felicità.
2009, Carol Artego
Poco dopo fecero di nuovo buio e ripartirono la musica e le luci colorate che fino allo scoccare della mezzanotte avevano animato la serata. Marcello continuò per una buona mezzora a ringraziare Giovanna, la ringraziava e la accarezzava, alternativamente, con due occhi che parlavano di una gratitudine infinita e di un velo di paura.
"Se mi ringrazi ancora una volta mi arrabbio", gli disse lei con un viso di falso rimprovero e dandogli un buffetto tenero sulla guancia; subito dopo gli prese la mano e la face scivolare dal collo giù fino alla pancia, dove la trattenne immobile per diversi secondi. Lo fissava con uno sguardo diverso, profondo, speranzoso, e le sfuggì una lacrima. Lui le sorrise.
Fu con la scusa di voler prendere ancora dello spumante che Marcello riuscì ad allontanarsi dalla calca che si era stretta intorno a lui e a Giovanna, avvicinandosi al bancone delle bevande posizionato tra le due finestre della lunga stanza che collegava il salotto, fulcro della festa, alla cucina, dalla quale poco prima avevano portato quella magnifica torta. La casa non era di certo grande, coi suoi tre locali e il suo piccolo bagno, ma sembrava contenere un'intera città in quelle ore di festa. Non c'era nessuno però che si serviva da bere in quel momento, forse erano già tutti pieni, ebbri di spumante e spensieratezza, per quella notte.
Marcello guardò fuori, nevicaca, un lampione che emetteva una strana luce gialla colorava in modo insolito e soffuso lo spiazzo innevato di fronte allo chalet e la distesa di alberi che si scorgeva più in lontananza. "Sembrano fiocchi di crema pasticcera che cadono dal cielo" pensò divertito il ragazzo fissando la neve che cadeva fitta, come se anche lassu qualcuno stesse festeggiando qualcosa con delle enormi fette di dolci con sopra tanta crema. "Pasticcini giganti alla frutta" pensò sorridendo, e mentre lasciava fluire questi pensieri così infantili sorrise e si mise con un gesto automatico un pezzettone di torta in bocca. Sentì e gustò a fondo il sapore dolce e immediato della panna, poi quello morbido della crema alla nocciola e infine il sapore più lento e sinuoso del cioccolato a scaglie grosse. "Sono proprio fortunato, mi è capitata una fetta con tanti pinoli dentro". Fece due schiocchi rumorosi con la bocca, come se volesse cercare di trattenere ancora quel sapore sopraffino, legarlo al palato, alla lingua. Invece sentiva che fuggiva via, giù per la faringe e l'esofago.
Improvvisamente si voltò e vide che nessuno lo osservava; si mosse di scatto, afferrò di colpo un giaccone pesante appoggiato sulla sedia accanto alle bevande e si diresse spedito verso la porta d'ingresso, di legno scuro, in fondo al salone pieno di luci e musica, pregando che nessuno lo vedesse nè gli chiedesse nulla. Uscì nella neve, fece qulache passo lentamente e poi gettò via le scarpe e i calzini e sentì il soffice sotto i piedi, sapeva che di lì a poco avrebbe sentito anche il freddo. Si mise a correre, puntando verso il bosco che era piuttosto lontano e sarebbe stato troppo lungo da raggingere a piedi, quasi impossibile. Ma continuò a correre, solo quello gli importava, continuare a sentire quel soffice sotto i piedi e quei fiocchi di crema pasticcera che gli si scioglievano addosso. Ad un tratto avvertì caldo e bagnato sopra le guance, e salato in bocca... Piangeva, senza sapere bene il motivo, un pianto a cui si abbandonò senza domandarsi nulla. Avrebbe potuto chiedersi qualcosa, ma non ci riusciva, non voleva, sentiva solo un enorme miscuglio di emozioni indistinte e forti che premevano da dentro e volevano uscire e che sembravano non poter far altro che trasformarsi in lacrime.
Così correva, piangeva, e sentiva. "Giovanna incinta", ripetè tra se', con un sorriso, fermandosi di colpo e asciugandosi con la manica del giaccone una lacrima che gli bagnava il mento.
In fondo non c'era molto da domandarsi. Semplicemente non era abituato alla felicità.
2009, Carol Artego

on ho nulla da aggiungere a ciò che ho sempre pensato di tè che tu non sappia già, questa perla ne è la conferma. Continua così sei sulla buona strada. Zia Giusy
RispondiElimina:-)) GRAZIE DI CUORE GIUSY, HO LETTO SOLO ORA... UN INCORAGGIAMENTO DA TE PER ME VALE MOLTO!!! :-)
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