Ero arrivato con cinque anni di ritardo allo stesso stadio di Guido quando se n'era andato dal liceo: non avevo più voglia di lamentarmi delle cose come se fossero inevitabili. Non avevo più voglia di lamentarmi che Milano era una città orrenda e continuare ad abitarci, dire che l'università era un parcheggio per disoccupati e continuare a frequentarla, dire che vivere dai miei era morboso e continuare a farlo.
Non avevo più voglia di lavorare a costruzioni mentali e ipotesi e teorie per spiegare o giustificare la mia inerzia insoddisfatta.
Mi sembrava di essere vissuto solo di parole, in un paese di parole, dove quello che si dice conta molto di più di quello che si fa, e adesso ne ero completamente saturo. Volevo costruirmi un’altra vita in base al tatto e all’olfatto e alla vista in un altro luogo di cui ero contento: usare i miei sensi, non dire più niente.
Non avevo più voglia di lavorare a costruzioni mentali e ipotesi e teorie per spiegare o giustificare la mia inerzia insoddisfatta.
Mi sembrava di essere vissuto solo di parole, in un paese di parole, dove quello che si dice conta molto di più di quello che si fa, e adesso ne ero completamente saturo. Volevo costruirmi un’altra vita in base al tatto e all’olfatto e alla vista in un altro luogo di cui ero contento: usare i miei sensi, non dire più niente.
(Due di Due, A. De Carlo)
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